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Mobbing sul lavoro [modifica]
Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al
licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo all'
azienda) o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all'esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali.
Per potersi parlare di mobbing, l'attività persecutoria deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.
Va peraltro sottolineato che l'attività mobbizzante può anche non essere di per sé illecita o illegittima o immediatamente lesiva, dovendosi invece considerare la sommatoria dei singoli episodi che nel loro insieme tendono a produrre il danno nel tempo. In effetti, l'ingiustizia del danno, vale a dire dell'evento lesivo non previsto né giustificato da alcuna norma dell’Ordinamento giuridico, deve essere sempre ricercata valutando unitariamente e complessivamente i diversi atti, intesi nel senso di comportamenti e/o provvedimenti.
Si distingue, nella prassi, fra mobbing
gerarchico o verticale e mobbing
ambientale o orizzontale; nel primo caso gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, dell'usuale
dialogo e del
rispetto.
Si parla di
mobbing dall'alto, o quando l'attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi (i
side mobber), che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare carriera, o semplicemente per "quieto vivere". Si definisce invece
mobbing tra pari quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell'organizzazione lavorativa per motivi d'incompatibilità ambientale o caratteriale, ad es. per i diversi interessi sportivi, per motivi etnici o religiosi oppure perché
diversamente abile, oppure il
mobbing dal basso; generalmente la causa scatenante del mobbing orizzontale non sono tanto le incompatibilità all'interno dell'ambiente di lavoro quanto una reazione da parte di una maggioranza del gruppo allo stress dell'ambiente e delle attività lavorative: la vittima viene dunque utilizzata come "capro espiatorio" su cui far ricadere la colpa della disorganizzazione, delle inefficienze e dei fallimenti.
[2]. Il mobbing
strategico si ha quando l'attività vessatoria e dequalificante tende ad espellere il lavoratore, per far posto ad un altro lavoratore (di solito in posizioni di dirigenza o apicali). Il Bossing è un termine che indica azioni compiute dalla direzione o dall'amministrazione del personale e che assume i contorni di una vera e propria strategia aziendale, volta alla riduzione, ringiovanimento o razionalizzazione del personale, oppure alla semplice eliminazione di una persona indesiderata. Viene attuato con il preciso scopo di indurre il dipendente alle dimissioni. Può attuarsi in modalità differenti ma con lo scopo comune di creare un clima di tensione intollerabile.
In ogni caso, il mobbing è riferibile ad un complesso, sistematico e duraturo comportamento del
datore di lavoro, che deve essere esaminato in tutti i suoi aspetti e nelle loro conseguenze, per creare un coacervo di stimoli lesivi che non può né deve essere frazionato o spezzettato in tanti singoli episodi, ciascuno dei quali aventi un proprio effetto sanitario ovvero giuridico. Anche perché
si è soliti ammantare con solide motivazioni anche gli atti peggiori, sì da dare ad essi una parvenza di legittimità.[3] Gli anzidetti concetti sono importanti per la dimostrazione giudiziale del mobbing.
Il primo a parlare di mobbing quale condizione di
persecuzione psicologica nell'ambiente di
lavoro è stato alla fine degli
anni ottanta lo psicologo svedese
Heinz Leymann che lo definiva come una comunicazione ostile e non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo, progressivamente spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa. In Italia è stato introdotto la tematica del mobbing dallo psicologo tedesco
Harald Ege, che per primo nel 2002 ha pubblicato un metodo per il riconoscimento del danno da mobbing e del fenomeno stesso tramite il riconoscimento di 7 parametri (il cosiddetto
metodo Ege 2002).
Secondo un'indagine del 1998, il 16% dei lavoratori inglesi denuncia di essere vittima di mobbing; l'Italia è ultima nella classifica UE con un 4,2%. Alcuni contratti sindacali, come quello dei metalmeccanici in Germania, prevedono un risarcimento di circa 250.000 euro per i lavoratori mobbizzati.
I sindacalisti della Volkswagen furono i primi a introdurre nei contratti di lavoro un capitolo sul mobbing con indennità e strumenti di prevenzione (i centri d'ascolto aziendali in particolare)[senza fonte].
La pratica del mobbing sul posto di lavoro [modifica]
La pratica del mobbing consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica. Ad esempio: sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro,
dequalificazione delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, ricevere telefonate, compiti insignificanti, dequalificanti o con scarsa
autonomia decisionale) così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in privato ed in pubblico anche per banalità; dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o obsolete, arredi scomodi, ambienti male illuminati; interrompere il
flusso di
informazioni necessario per l'attività (chiusura della
casella di posta elettronica, restrizioni sull'accesso a
Internet); continue
visite fiscali in caso malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la
scrivania sgombra). Insomma, un sistematico processo di "cancellazione" del lavoratore condotto con la progressiva preclusione di mezzi e relazioni interpersonali indispensabili allo svolgimento di una normale attività lavorativa. Altri elementi che fanno configurare il mobbing, possono essere "doppi sensi" o sottigliezze verbali quando si è in presenza del collega oggetto di mobbing, cambio di tono nel parlare quando un superiore si rivolge al collega vittima, dare pratiche da eseguire in fretta l'ultimo giorno utile. Un esempio può essere il seguente: un collega, in presenza di altri colleghi, li invita ad una cena chiedendo ad ognuno di loro "allora te l'ha detto Caio che stasera vieni con noi a cena?", mentre al collega mobbizzato dice invece "tu non vieni?". Molte volte succede che l'"ordine" di aggressione al collega mobbizzato venga dall'alto e sia finalizzato alle dimissioni di qualcuno. In questo caso i colleghi che effettuano il mobbing eseguono servilmente le disposizioni del superiore anche se il collega mobbizzato non ha fatto niente di male a loro. Tutte queste situazioni ed in genere gli attacchi verbali non sono facilmente traducibili in "prove certe" da utilizzare in un eventuale processo per cui è anche difficile dimostrare la situazione di aggressione.
Secondo l'
INAIL, che per prima in Italia ha definito il mobbing lavorativo, qualificandolo come
costrittività organizzativa, le possibili azioni traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dall'attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi o degli strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici, l'impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie, la inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, l'esclusione reiterata da iniziative formative, il controllo esasperato ed eccessivo.
È quindi chiaro che il mobbing non è una malattia ma rappresenta il termine per indicare la complessiva attività ostile posta in essere solitamente da un datore di lavoro (pubblico o privato, da solo o in combutta) per demansionare il lavoratore, isolarlo e obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni.
Le azioni rientranti nella categoria della costrittività organizzativa coinvolgono direttamente e in modo esplicito l’organizzazione del lavoro e la posizione lavorativa e possono assumere diverso rilievo ai fini del riconoscimento della natura professionale del danno conseguente (Paolo Pappone et Al. Patologia psichica da stress, mobbing e costrittività organizzativa.)
La giurisprudenza dispone più frequentemente e facilmente il risarcimento del
danno biologico, ma non del
danno morale; il mobbing deve aver procurato una delle
malattie documentate in
letteratura medica per avere diritto a un'indennità dall'azienda.
In Italia, le tutele al licenziamento o trasferimento in altre sedi dei lavoratori sono maggiori che in altri Paesi ed è abbastanza diffusa la pratica di ricorso al mobbing per indurre nel lavoratore le dimissioni laddove il licenziamento è possibile solo per giusta causa (art.18 dello Statuto dei Lavoratori).[senza